martedì 12 giugno 2012

Mario Balotelli e la crescita.

Massimo Gramellini, per la sua rubrica Buongiorno, su La Stampa, oggi commenta la non maturazione di Mario Balotelli e usa tale mancata maturazione per una valutazione di più ampio respiro.





Passiamo la vita ad aspettare chi non arriva mai. Da anni leggo articoli che auspicano la maturazione di Sua Indolenza Balotelli e la annunciano come imminente, sicura o altamente probabile. Ogni volta che segna uno dei suoi rari ma bellissimi gol c’è qualcuno che dice: ci siamo. Ogni volta che sfascia l’auto in un fosso o si addormenta davanti al portiere c’è qualcuno, magari lo stesso, che si contraddice: non ci siamo, ma ci saremo.
Immagino abbiate ben presente quel chiacchiericcio da bar presente sui giornali e nelle trasmissioni sportive che al 90% è inutile ... avete presente? Bene. 

Pochi hanno il coraggio di ammettere che Balotelli resterà sempre quello che è: un talento senza carattere, un eterno immaturo, una magnifica occasione perduta. 
Io sono uno tra questi pochi.
Trovo folle che un mezzo campione guadagni certe cifre ed è probabile che il guadagnarle renda ancora più difficile il bagno di umiltà che forse gli permetterebbe di compiere il salto evolutivo.

Anche perché se guadagnasse di meno, ed uno stimolo legato al rendimento forse avrebbe più voglia di giocare bene e di essere soprattutto costante.

Poi mi guardo intorno e penso: ma chi lo ha fatto davvero, quel salto? Quanti amici, parenti e colleghi parlano, pensano e vivono esattamente come venti o trent’anni fa? Eppure ci si continua a illudere, aspettando la svolta che ci rassicuri sulle possibilità di cambiamento dell’essere umano. Credo sia per questo che al cinema e nei romanzi amiamo le storie dove il protagonista si trasforma e cambia. Perché nella vita non succede quasi mai. Si resta aggrappati alle proprie granitiche incertezze, al trauma infantile (Balotelli ne avrà più d’uno), alla reazione automatica che ti induce a comportarti sempre allo stesso modo, a pensare sempre le stesse cose, a nutrire sempre le stesse aspettative: per esempio che gli altri possano cambiare, mentre spesso il primo che non riesce a farlo sei tu.

L'unica perplessità riguarda il perché le persone non cambiano, e talvolta possono esserci motivi che sono trascendenti la sintesi giornalistica. Ma il principio, nel suo complesso, mi trova pienamente d'accordo. Io stesso ho vissuto sulla mia pelle il cambiamento. Sono riuscito, negli ultimi anni, a cambiare modo di approcciare i problemi, modo di pensare, e sono riuscito a liberarmi di schemi mentali che erano forse limitativi. Si chiama crescita. La quale è difficile perché comporta una certa dose di sofferenza che non tutti vogliono accettare.

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